Il conscio, l’inconscio e la psicanalisi secondo Fromm

Erich Fromm, oltre che essere stato un grande osservatore delle dinamiche sociali, è stato anche un grande psicoterapeuta, che ha iniziato dalle profonde rivoluzioni portate da Sigmund Freud nel campo della psicoanalisi, per poi analizzare in modo critico i concetti da lui introdotti.

Un caposaldo del pensiero di Freud è l’esistenza dell’inconscio, con cui Fromm concorda pienamente. Quello di cui noi facciamo esperienza, nella vita di tutti giorni, e che entra nella soglia della nostra consapevolezza, è una parte piuttosto ridotta della nostra vita mentale, gran parte della quale avviene appunto senza che noi ne siamo pienamente consapevoli. Dunque, partendo dal libro “Psicoanalisi e buddhismo zen” di Erich Fromm, andiamo a definire il conscio come l’insieme delle esperienze, dei desideri e dei giudizi di cui siamo consapevoli, e l’inconscio come l’insieme dei medesimi elementi di cui non siamo consapevoli. La definizione dell’esistenza di questi due domini della realtà umana non spiega però direttamente come operano (domanda, tra l’altro, piuttosto complessa, nella quale ci inoltreremo col grado di dettaglio a noi utile). La questione chiave, che vogliamo affrontare, è cosa determina l’appartenenza di alcuni elementi alla sfera del conscio (temi di cui diventiamo consapevoli) e cosa induce invece altri elementi a permanere nell’inconscio e a non affiorare nella nostra consapevolezza. Insomma, qual è la forza motrice dell’inconsapevolezza?

Nel libro menzionato, Fromm espone alcuni meccanismi di filtrazione chiave:

  • Un primo elemento sono il focus e il linguaggio: ciascuna società promuove l’adozione di diverse significatività emotive per diverse tipologie di esperienze, plasmando in questo modo come vengono gestite dalla nostra memoria. Quello che non percepiamo tramite i sensi, perché non è considerato importante, poi difficilmente troverà strada dentro di noi. Inoltre, tramite il linguaggio (sia in termini di struttura che in termini di ricchezza espressiva), tendiamo ad esprimere le nostre esperienza in modi diversi e con profondità diverse, influenzando anche in questo modo come vengono immagazzinate dentro di noi.
  • Un secondo elemento è la logica sottostante: un esempio in questa direzione può essere fornito dai mondi occidentale e orientale, che nel corso degli scorsi secoli e millenni hanno sviluppato strutture di pensiero diverse. Si pensi ad esempio alla differenza tra logica aristotelica e logica paradossale, alla categorizzazione di Aristotele (gli opposti sono tipicamente ben separati) e al multiforme Tao di Lao Tse (dove gli opposti si abbracciano nell’eterna danza di Yin e Yang). Le diverse prospettive logiche donano luci completamente diverse alle esperienza, influenzando quindi in modo profondo il modo in cui entrano nella nostra interpretazione del mondo.
  • Un terzo elemento è il contenuto delle esperienze. In determinate società, ci sono delle esperienze che vengono spesso considerate come dei tabù: in altri termini, sono considerate improprie non sono nel campo dell’azione, ma anche nel campo del pensiero. Un esempio può aiutarci a chiarire: immaginiamo che una persona, con un’indole interiore (determinata dal suo corredo genetico e dalle esperienze individuali) particolarmente pacifica e improntata al calmo equilibrio con il mondo, si trovi in una antica società di guerrieri, dove imperano l’espansione dei confini e la sottomissione di altri popoli. L’armonia tra l’indole interiore e la pratica guerriera della società non è data, e possiamo assumere come probabile il fatto che tale desiderio di calma fatichi ad arrivare nella parte conscia dell’individuo in questione, pena il sentirsi escluso dalla società di cui fa parte (ricordiamo che l’uomo è un essere sociale e non apprezza il sentirsi solo).

Abbiamo discusso tre filtri che, secondo Fromm, regolano lo scambio tra l’inconscio e il conscio. Ma quindi, a livello filosofico e alla luce di questi meccanismi, cosa rappresentano l’inconscio e il conscio per l’uomo?

L’inconscio rappresenta l’uomo nella sua totalità, con le luci e le ombre che lo contraddistinguono e l’ampia gamma di semi che può coltivare (poi, se voglia coltivarli, è un altro paio di maniche: ma per lo meno, se c’è la consapevolezza, c’è anche la scelta: elemento che invece manca nel caso di elementi di cui inconsapevoli). L’inconscio contiene le radici delle diverse risposte che l’uomo può fornire alle domande esistenziali e ai bisogni che abbiamo discusso negli articoli precedenti.

Il conscio, invece, va a rappresentare delle cornici di pensiero, influenzate dalla società e dalla famiglia di appartenenza, lo scopo delle quali è spesso quello di mantenere e di indurre a perdurare lo status quo, insomma a proiettare verso il futuro quello che è stato fino ad adesso. L’uomo, nella sua totalità, non viene rappresentato solo dal conscio: parte della sua indole e del suo potenziale non vengono espressi, in quanto mancano la consapevolezza e la scelta di esprimere e di coltivare le parti in questione.

Ecco che la psicoanalisi (che, secondo Fromm, può essere ben integrata e può profondamente beneficiare della e dalla pratica meditativa) si configura come un processo tramite il quale l’inconscio viene reso conscio. In altri termini, l’uomo prende consapevolezza della sua totalità, delle proprie meraviglie e dei propri abissi: ed allora (e solo allora) ha piena scelta su quali parti di sé vuole coltivare ed esprimere (in modo allineato all’intrinseca moralità che, secondo Fromm, ha anche matrice umanistica e può scaturire dall’interno dell’uomo stesso).

Spero che, da quanto scritto in questo articolo, sia emerso l’importante ruolo della consapevolezza. E proprio da questo cardine che Fromm ha sviluppato una profonda analisi dei caratteri sociali; in altri termini, se siamo consapevoli dei modi in cui la società tende a prevenire l’entrata in contatto con alcuni nostri lati inconsci, riusciamo, proprio grazie a questa consapevolezza, anche a diventare consapevoli di questi lati.

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