«Non esiste il fallimento, esiste solamente il feedback».
Così recita una delle più potenti presupposizioni della PNL. Tale frase contiene quarantasei lettere, sette spazi e una virgola. Otto parole in tutto.
Il contenuto è di semplice comprensione: quando ottieni dei risultati non allineati con le tue aspettative, impara da quanto hai ottenuto per poter far meglio la prossima volta.
Eppure, ogni giorno nel mondo un gran numero di persone non agisce perché teme di sbagliare. Molti individui non fanno per il timore di essere giudicati, e per la paura che le proprie azioni li facciano sentire inadeguati di fronte a se stessi e agli altri. In poche parole, molti rifuggono l’errore, e si immergono tra le placide acque delle azioni che conoscono e che gli vengono bene.
Questo è comprensibile. Viviamo in una società nella quale in molti contesti lo standard è l’eccellenza e in cui sono quotidianamente ricercate performance di alta qualità. Viviamo in un contesto che ci sprona a mettere sotto i riflettori i nostri successi, e a rinchiudere dietro ante nascoste i nostri sbagli. Immagino che a nessuno passi per la testa di mettere nel proprio curriculum vitae quella volta in cui ha toppato; meglio parlare delle proprie qualità.
Il celebre Buckminster Fuller disse questo a proposito dell’errore:
«Se guidassi una scuola, darei un voto mediocre a coloro che mi forniscono le risposte esatte, per essere dei buoni pappagalli. Darei un voto alto a coloro che fanno un sacco di errori e me ne parlano e poi mi dicono che cosa hanno appreso da essi.»
Spesso gli errori servono per imparare. Servono per correggere la rotta. Servono per aver nuove informazioni che ci aiuteranno a fare meglio al prossimo tentativo. Ciò che possiamo apprendere dai nostri errori è oro colato, è un nobile metallo che spesso ci lasciamo sfuggire perché lo analizziamo da una prospettiva non conveniente.
Come possiamo imparare a vivere l’errore come feedback, invece che come fallimento? Ecco tre spunti riflessivi:
- Coloro che hanno ottenuto i più grandi risultati hanno commesso una valanga di errori. Chi ha raggiunto i propri obiettivi si è dato la possibilità di sbagliare. Noi vediamo la sommità dell’iceberg, che corrisponde al raggiungimento del traguardo. È anche vero che a sostegno di tale successo vi è una grandissima capacità di apprendimento, e soprattutto una ferrea volontà di mettersi in gioco e di imparare dai propri errori. La questione non è imparare a non fare errori, ma imparare ad apprendere proficuamente da essi, senza commetterli due volte.
- A livello linguistico, chiamiamoli in modo diverso! La parola errore fa tornare in mente i temi sottolineati di rosso, le espressioni matematiche sbagliate e i momenti delle nostre vite in cui non abbiamo ottenuto quanto desideravamo. Con tutto il rispetto, questa mi pare una tetra prospettiva dalla quale guardare delle così ghiotte opportunità di apprendimento. Dunque, chiamiamo gli “errori” con nomi che ci riconducano a sensazioni piacevoli. Da oggi mi impegno a sostituire il nome errore, nel mio dialogo interiore, con «learning time», ossia «tempo dedicato ad apprendere». Lo trovo più motivante. Scegli anche tu un nome che ti piaccia, e usalo al posto di errore!
- Opera un’utile distinzione tra comportamento e identità. Spesso temiamo di commettere errori perché pensiamo che tali azioni ci descrivano come persone. Se facciamo qualcosa che non va bene, pensiamo di essere noi che non andiamo bene. ALT! Nel caso in cui usassi queste forme comunicative nel tuo dialogo interiore, fermati subito e scegli frasi diverse, operando una netta distinzione tra comportamento e identità. Tu vai benone così come sei. Punto. Puoi apprendere nuovi comportamenti più funzionali, sentendoti in contemporanea pienamente a tuo agio con te stesso/a. È dall’accettazione del momento presente che nascono grandi possibilità di cambiamento!
Un abbraccio!
Mattia