Non-ergodicità: spunti per la psiche umana

Negli scorsi giorni mi sono immerso nella preparazione di una presentazione, incentrata su di un progetto di ricerca che ho condotto negli scorsi anni. Il progetto aveva l’obiettivo di caratterizzare la struttura di un gel, mediante l’uso di tecniche ottiche.

I gel sono materiali molto affascinanti: costituiti in gran parte da acqua (o altri solventi), presentano anche proprietà elastiche grazie a strutture tridimensionali permeate dalla fase liquida. Queste strutture tridimensionali sono composte da particelle, fibre o altri oggetti colloidali, che entrano in contatto e formano un’impalcatura che sorregge meccanicamente il gel.

Nell’entrare in contatto con le altre particelle, ognuna perde un po’ della propria libertà: non può più muoversi come prima. Eppure, ogni volta che le particelle si incontrano avviene una magia. Creano una struttura unica, irripetibile, e che può spesso essere descritta solo ricorrendo a trattazioni statistiche o di scala. Un sistema di particelle libere, ergodico, si trasforma così in una fase arrestata, non-ergodica.

Cosa vuol dire ergodico, cosa vuol dire non-ergodico? Un piccolo salto nella fisica statistica ci aiuterà a delineare questi concetti, in modo intuitivo. Un dato sistema, composto da tantissime sotto-parti, può assumere un numero vertiginosamente alto di configurazioni. Quando ciascuna sotto-parte è libera di esprimersi e di girovagare in questo mare di configurazioni (denominato ensemble), nel tempo il sistema spazia la totale ampiezza delle sue possibilità e può essere definito ergodico. Invece, se il tempo non è sufficiente a far spaziare il sistema nelle sue ampie possibilità (perché ad esempio ciascuna sotto-parte è confinata dalle altre), il sistema viene definito non-ergodico.

L’ergodicità e la non-ergodicità hanno un impatto molto profondo sulle misure che si vogliono effettuare. Se misuro un campione ergodico, mi basta aspettare affinché la mia osservazione copra, verosimilmente, un’ampia gamma delle possibilità accessibili al campione. Se ne misuro uno non-ergodico, il tempo non aiuta: se la misura si focalizza su di un determinato stato (definito sub-ensemble), non riuscirò a trarne le informazioni essenziali guardandolo da una sola prospettiva. Servono misure diverse, e protocolli di analisi dati diversi.

Questi concetti hanno occupato la mia mente, in questi giorni. Penso che noi, esseri umani, nasciamo ergodici: liberi di esplorare le nostre possibilità, col tempo. Eppure, proprio quel tempo che dovrebbe aiutarci ad esplorarci, a volte ci ingabbia in configurazioni statiche; ci fa irrigidire in copioni ripetuti e difficili da rompere. È così che, da ergodici, ci trasformiamo gradualmente in non-ergodici: il tempo non ci aiuta ad esplorare la vasta gamma delle nostre potenzialità (ancor presenti nel nostro inconscio), perché la nostra consapevolezza si è focalizzata su di una specifica immagine o percezione di noi.

È proprio in questo momento, col sorgere di questa consapevolezza, che possiamo diventare scienziati di noi stessi e guardarci da altre prospettive. Così scopriremo che dove siamo ora non è un limite ma un confine; non è una barriera insuperabile, ma un punto di partenza per nuove scoperte.

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