Un profumo inconfondibile permeava l’aria. Tutto sommato, Sam se la cavava piuttosto bene in cucina. Non era al livello dei grandi chef, certo, ma si divertiva un mondo tra i fornelli, e alla fine era questo che contava.
Era appena suonato il campanello del forno. Le sue due figlie, con mariti e nipotini annessi, aspettavano intrepidamente le lasagne al tavolo. Si sentivano voci, e anche qualche rumore di forchetta che urtava il tavolo. «Che impazienza!», pensò il vecchio postino. Poi si ricordò che lui da piccolo era forse più pestifero dei suoi nipoti, e a questo pensiero sorrise, consapevole di quanto fosse bella la spontaneità dei bambini.
Pranzarono, si divertirono tutti insieme, e quando i parenti tornarono alle loro case, il padrone di casa si trovò in casa solo, con il suo libro di poesie e racconti. Una solitudine che gli piaceva: come godeva della compagnia altrui, gli piaceva anche prendersi qualche momento per sé. Aprì nuovamente il libro a caso, e iniziò a leggere. Il racconto di quel giorno era intitolato “Un grande re”.
Molto tempo fa vi era un popolo, che abitava vicino ad un grande fiume. L’acqua fresca abbondava, come abbondavano le ricchezze di questa gente. Le persone erano felici, serene, e sui loro volti albergavano grandi sorrisi e piacevoli emozioni. Ogni mattina erano svegliati dai canti dei fringuelli, che gli ricordavano che una nuova, entusiasmante giornata stava per iniziare.
A capo di questo popolo vi era un re. Non si conoscono le sue sembianze: alcuni anziani dicevano che secondo i loro nonni fosse possente, muscoloso. Secondo altri, basso e cicciottello. Poco importa, perché il ricordo di questo re era legato ad altro.
Infatti, mentre regnava, il popolo attraversò un momento difficile. Le ricchezze iniziarono a scemare, e portare a casa qualcosa da mangiare sembrava essere sempre più arduo. Alcune famiglie andarono in crisi, e in questa crisi persero contatto con la loro identità e con il rapporto che avevano con le altre persone.
I sorrisi si trasformarono in pianti, i volti gioiosi in espressioni tristi e vuote. L’amicizia iniziò ad essere spodestata dalla diffidenza, la fiducia dal timore, e gli sguardi gioiosi si tramutarono in occhi attenti e alla ricerca di certezze.
Il grande re era turbato e preoccupato. Il suo popolo, che era sempre stato allegro e spensierato, si era trasformato in un insieme di persone che parevano allontanarsi sempre più. Ognuno teneva i suoi problemi per sé, come se condividerli potesse mostrare punti deboli di cui approfittare. Il contatto si trasformò in tocchi attenti, gli abbracci di condivisione in bisogni personali.
Cosa poteva fare? Si rese ben presto conto che la crisi che vivevano, più che frutto delle circostanze, nasceva dai loro cuori. Non era il popolo ad essere in crisi, ma erano i cuori delle persone che lo componevano ad esserlo. I battiti forti, colmi di passione e di speranze, erano ora battiti lievi, simili al sussurro della brezza nei monti. Ciò che il popolo aveva bisogno non erano soldi: quelli poi sarebbero arrivati. Aveva bisogno prima di qualcosa in cui credere, di qualcosa in cui sperare. Aveva bisogno di capire come le paure delle persone non erano poi così grandi, solo che specchiandosi le une nelle altre sembravano potenti e incontrastabili.
Il re ebbe un’idea. Decise di organizzare dei grandi giochi di squadra, sulla riva del fiume. Il suo intento era permettere al popolo di divertirsi, e nel farlo di fidarsi l’uno dell’altro, come le grandi squadre insegnano. La luce del gioco e del divertimento avrebbe potuto spazzare via la tenebra dell’ombrosa diffidenza, e mostrare al popolo quanto fosse importante cooperare per raggiungere quello che volevano.
Così fu. Il re mise a disposizione le proprie monete e le proprie gemme, per permettere l’organizzazione dei giochi. Ognuno si divertì, e riuscì a scorgere negli occhi degli altri quella fiducia che da troppo tempo mancava. Lo spirito delle persone fu rinnovato, e le nuvole dello sconforto sembravano allontanarsi sempre maggiormente. Accadde però qualcosa, che nessuno si aspettava.
Vicino al fiume c’era una foresta, in cui abitavano tanti piccoli animaletti. La sera, dopo i giochi, il popolo decise di rimanere e di cenare sulla riva del fiume. Dei grandi falò furono accesi, e i musicisti locali tornarono al villaggio a prendere i loro strumenti, per far sì che oltre al calore del fuoco vi fosse anche quello della musica. Gli uomini si divisero in gruppi, per andare nel bosco a recuperare la legna. Anche il re si unì ad uno di questi gruppi.
Mentre il gruppo di cui faceva parte il sovrano era impegnato a tagliare un albero, apparve un grosso animale, che nessuno dei presenti seppe identificare. La foresta era sempre stata abitata da piccoli animaletti, che non avevano mai messo a rischio l’incolumità delle persone. Questa creatura sembrava invece minacciosa. Era possente, muscolosa, e nel riflesso dei suoi occhi color sangue sembravano condensate tutte quelle paure che i giochi erano stati in grado di allontanare.
Prese la rincorsa, e caricò uno degli uomini del gruppo. Il re vide la scena, e si frappose tra l’uomo e la bestia, assorbendo l’urto e finendo contro una pianta vicina. L’impatto ricordò il tuono di un forte temporale, tanto era grande la potenza della bestia nera. Sembrava che l’animale stesse per caricare nuovamente, quando incontrò lo sguardo del re, che giaceva morente contro l’albero. Uno sguardo intenso, ricco di amore, di compassione, di determinazione, e di consapevolezza della forza del suo popolo. E così la bestia si fermò, e ammirò quel sorriso, che accompagnava l’ultimo respiro del re. Si girò, corse, e mai più fece ritorno in quelle foreste.
Gli uomini del gruppo iniziarono a piangere, e nel pianto riportarono il re sulla riva del fiume. Il racconto del suo sacrificio si diffuse presto, insieme al pianto e allo sconforto. Un pianto di tristezza, che con le lacrime lavò via tutte le paure e che fece risorgere quella determinazione e quella forza che il re aveva saputo mostrare. Un pianto che allontanò l’oscurità delle nubi, e che le fece correre via, come era corsa via la bestia nera, alla vista di quello sguardo.
Il sacrificio del re aveva ricordato al popolo chi era, e di che pasta erano fatte le persone che lo componevano. E da quel giorno, mai più lo dimenticarono.
Il vecchio Sam asciugò le lacrime che cadevano dai suoi occhi. Era necessario il sacrificio del re, per allontanare la bestia nera che assediava le menti delle persone del popolo? Ammirò il sacrificio del sovrano, e fu commosso da tutto quello che seppe dimostrare. Decise di portare dentro di sé quelle risorse, e decise di tener sempre a mente una cosa: le nubi dello sconforto e riflessi delle sue paure non erano nulla, rispetto a quello che desiderava e rispetto alle speranze che nutriva.
I problemi sono inesistenti in mancanza degli esseri umani ai quali sono collegati. Non hanno un’esistenza propria nell’universo. Esistono solamente nelle nostre percezione e nel nostro dare un senso alle cose. (R. Bandler)
Giustissimo :)! Grazie mille per il commento e buona serata :)!