Le parole modellano la realtà. Ammettiamo che molte persone si trovino a vivere un medesimo evento, e che successivamente intervistiamo ciascuna di loro in merito a quanto è accaduto. Quello che otteniamo sono tante narrazioni diverse quante sono le persone in gioco. Ognuno di noi si esprime con vocaboli diversi, e questi diversi vocaboli sono interconnessi al diverso modo in cui facciamo esperienza di quanto accade e al diverso modo in cui registriamo mentalmente gli eventi che caratterizzano le nostre vite. Le parole creano.
Questa premessa è di fondamentale importanza per l’analisi dei vocaboli «giusto» e «sbagliato». Descrivere la realtà che viviamo quotidianamente mediante questi vocaboli implica che qualcosa vada bene e che qualcosa sia invece improprio. Dire che qualcosa è «giusto» pone un alone di correttezza che la nostra mente presto generalizza a varie situazioni, che magari non hanno nulla a che vedere con l’evento analizzato in partenza. Ciò che in alcuni contesti è utile, in altri può non esserlo. Dire che un comportamento è «sbagliato» ci mette in condizione di etichettarlo come negativo, e di generalizzare presto questa nostra idea a situazioni in cui magari quel comportamento risulterebbe appropriato. In breve, le parole «giusto» e «sbagliato» limitano notevolmente il modo in cui percepiamo la nostra realtà. Ci mettono in condizione di vederla in bianco e nero, quando in realtà è composta da innumerevoli sfumature cromatiche, che noi non cogliamo proprio per queste forme linguistiche che decidiamo di utilizzare per descrivere quanto viviamo.
Quando utilizziamo questi vocaboli per descrivere il comportamento umano, indeboliamo la nostra capacità di intervenire sul comportamento per modificarlo in sue varianti più produttive. Questo avviene perché lo giudichiamo e lo etichettiamo, invece che comprendere cosa pone le basi alla nascita e alla messa in atto del comportamento stesso. I nostri comportamenti nascono dalla nostra mappa neuro-linguistica: da quello che riteniamo importante per noi, dal nostro senso di identità, da quello in cui crediamo e dalle varie capacità che abbiamo acquisito nel corso della nostra vita. Dove mettiamo in atto i nostri comportamenti? In un ambiente, ossia in un contesto che ne determina l’utilità o l’improduttività. Non è il comportamento ad essere giusto o sbagliato: è il contesto che ne determina l’utilità o l’inutilità.
Chiarisco quest’ultima frase mediante un esempio. Ammettiamo che il piccolo Jimmy abbia spesso la testa tra le nuvole e che non riesca a concentrarsi in classe, durante le lezioni. Se dicessimo al piccolo Jimmy che è sbagliato continuare a distrarsi, metteremmo un’etichetta sul suo comportamento, che il giovane potrebbe portare al livello della propria identità e sentirsi così inadeguato. Se invece andassimo oltre i concetti di giusto e di sbagliato, ci renderemmo conto del fatto che il comportamento del piccolo Jimmy non è sbagliato: è semplicemente messo in atto in un contesto (in un ambiente) poco produttivo. Potremmo quindi in questo modo avvicinarci a lui e dirgli: «Hey, sai che ci sono un sacco di scrittori e di inventori che ammirerebbero tantissimo la tua fantasia e che pagherebbero per averla?! Complimenti! È anche vero che a scuola è per te maggiormente utile rimanere concentrato sulle lezioni: posso farti vedere come si fa!».
Il concetto di contesto ci permette quindi di comprendere come non ci siano azioni giuste o sbagliate, e pone il nostro focus sull’utilità del comportamento stesso. Un altro concetto molto importante è quello di intenzione positiva. Dal momento che agiamo sulla base della mappa neuro-linguistica che abbiamo costruito nel tempo, i nostri comportamenti derivano dalle idee che ci siamo fatti sul mondo: in ciascun contesto tendiamo a mettere in atto i comportamenti che risultano più utili in quello scenario, dalla prospettiva della nostra mappa. Ogni nostro comportamento risulta quindi il migliore che riteniamo possibile in quel momento, sulla base del nostro stato emotivo e sulla base del modo in cui ci siamo costruiti la nostra realtà. Riconoscere questa intenzione positiva ci permette una maggiore malleabilità comportamentale: il cambiamento risulta più facile e agevole.
Analizziamo insieme un nuovo esempio, che potrebbe condurre a giudicare mediante le parole «giusto» e «sbagliato» e che può invece essere analizzato mediante i concetti di contesto e di intenzione positiva. Jasmine e Mark spesso arrivano a casa stanchi dal lavoro. Dal momento che ultimamente la routine lavorativa è intensa, Jasmine teme che questa possa influire sulla qualità del loro rapporto di coppia, e dunque quando arriva a casa tende a parlare molto con Mark e a proporgli una serie di iniziative serali che gli consentano di stare insieme. Mark, dal canto suo, ritiene consolidato il rapporto con Jasmine e non ha alcuna preoccupazione in merito all’intenso periodo lavorativo. Sentendosi stanco non ha molta voglia di parlare e non comprende l’insistenza di Jasmine nel proporgli iniziative serali.
Cosa succederebbe se i due protagonisti di questa storia analizzassero i reciproci comportamenti mediante i concetti di giusto o sbagliato? Jasmine probabilmente penserebbe che Mark sbagli ad essere così chiuso e a parlare così poco, e riterrebbe i suoi comportamenti ragionevoli per rendere più vitale il rapporto di coppia. Mark troverebbe invece sbagliata l’insistenza di Jasmine nel comunicare, e riterrebbe corretta la sua tendenza a rilassarsi e a non voler uscire. Ognuno dei due, insomma, penserebbe di essere nella ragione, e questo potrebbe condurre ad una chiusura di dialogo.
Come potremmo invece analizzare questa vicenda mediante i concetti di contesto e di intenzione positiva? Se ciascuno dei due partner dialogasse e si confrontasse con l’altro in merito all’intenzione positiva dei reciproci comportamenti, emergerebbero il desiderio di Mark di rilassarsi dopo un’intensa giornata di lavoro, le preoccupazioni di Jasmine sull’intenso periodo lavorativo e il suo desiderio di ritagliarsi dei momenti tutti per loro. Mark, rendendosi conto che Jasmine sente il bisogno di maggiore condivisione, potrebbe accorgersi del fatto che la sua chiusura di dialogo sia poco utile in quel contesto, e allo stesso modo Jasmine potrebbe rendersi conto del fatto che anche la sua insistenza al dialogo è poco utile: insieme potrebbero quindi giungere a nuove consapevolezze e a nuovi comportamenti.
Togliere le etichette di giusto o sbagliato ai comportamenti e analizzarli sulla base del contesto e dell’intenzione positiva aiuta molto. Anzi: visto che la nostra vita è fatta di azioni e comportamenti, aiuta moltissimo 🙂 .
Un abbraccio,
Mattia