Sotto il cielo tutti vedono bello ciò che è bello
soltanto perché esiste il brutto.
Tutti sanno che il bene è bene soltanto perché esiste il male.
Essere e non essere si generano a vicenda.
Questo è l’incipit del secondo capitolo del Tao Te Ching, di Lao Tzu. Da queste considerazioni nascono i concetti di Yin e lo Yang, forze di natura complementare che insieme governano il mondo e le sue manifestazioni (che Lao Tzu chiama “le diecimila creature”).
Il saggio, secondo il Tao Te Ching, va oltre le apparenti dualità e coglie un’intuitiva consapevolezza dell’unità, dalla quale le varie manifestazioni traggono origine. La definizione cognitiva di una qualità genera automaticamente la sua complementare, che ne consente la definizione e l’esistenza; il saggio aspira ad oltrepassare l’apparente distinzione delle qualità opposte per coglierne l’unità fondamentale, il Tao da cui tutto ha origine.
Per questo motivo il saggio non cerca la felicità. Neanche la definisce a livello cognitivo, perché l’esistenza mentale del concetto di felicità implica la compresenza del complementare, ovvero l’infelicità, che è da essa inseparabile e che aiuta a definirla. Il saggio aspira all’Essere nel qui ed ora, senza aspettative, godendosi il momento senza verbalizzarne caratteristiche duali.
Che senso ha la corsa alla felicità, secondo questa ottica? Il rincorrere una qualità o una sensazione contribuisce all’esistenza della complementare, favorisce l’avere e scoraggia l’Essere. Coloro che inseguono la felicità consentono a se stessi di percepirne il duale, e sperimenteranno dunque anche infelicità.
Come sarebbe il mondo, se ci limitassimo ad Essere senza introdurre distinzioni verbali e cognitive che favoriscono la separazione e incentivano l’avere? Come sarebbe se superassimo i pregiudizi, e se vedessimo il tutto?
Un abbraccio,
Mattia