Che il linguaggio sia una forma comunicativa inadeguata alla piena descrizione del mondo è noto da secoli. Le correnti mistiche orientali mettono in luce come il continuo mutamento della realtà e l’essenziale unità del tutto siano concetti che trascendono il linguaggio; per essere vissuti vanno esperiti in via diretta, attraverso percorsi meditativi che portano ad una crescente consapevolezza.
Il linguaggio si configura dunque come strumento. Siamo abituati a parlare e ad ascoltare gran parte della giornata, se non con altri per lo meno dentro di noi. In questa routine spesso non ci rendiamo conto che l’uso del linguaggio è una scelta. Siamo così abituati ad usarlo che frequentemente confondiamo la realtà che descriviamo a parole con la realtà stessa. Ci ingabbiamo nei confini della parole che usiamo, ci vincoliamo alle forme sintattiche che descrivono la realtà e dimentichiamo che la realtà è molto di più (o spesso molto di meno) delle strutture linguistiche che cercano di descriverla.
Dunque, andiamo in giro per il mondo con convinzioni inadeguate. Inadeguate non perché siano vere o false: inadeguate proprio perché trascendono il concetto di vero e falso. Vaghiamo pensando di sapere e conoscere, quando il nostro formalismo lessicale spesso tende solo a descrivere piuttosto che comprendere. Ci crediamo padroni delle nostre parole, quando frequentemente sono le parole che pronunciamo a controllare noi.
La buona notizia risiede appunto nella consapevolezza che il linguaggio è una scelta. Possiamo sentirci liberi di usare le parole o no. Se scegliamo di usarle, possiamo addirittura scegliere quali usare. Possiamo, dunque, apprendere ad utilizzare il linguaggio in modo nuovo e conforme a quello che vogliamo donare al mondo.
Possiamo scrivere un nuovo vocabolario, tutto nostro, in cui siamo finalmente noi a decidere che senso dare alle parole, invece che permettere alle parole definite da altri di dare un senso a noi stessi.
Possiamo andare oltre i pregiudizi razziali, le distinzioni disfunzionali, il concetto di fallimento e tutte quelle parole che invece che farci volare ci inchiodano al terreno come funi. Possiamo imparare a dare il giusto potere alle parole pronunciate da altri; parole che spesso, invece che renderci consapevoli delle nostre meraviglie, rendono reali limiti percepiti da chi ha una finita conoscenza di noi.
Possiamo usare le parole per amare, per avere compassione e per fare leva su tutti quei valori che arricchiscono significativamente le esistenze. Possiamo usare le parole come atto creativo, come strumento che faccia crescere, come acqua che nutre il terreno sul quale possono sbocciare meravigliosi fiori.
Un abbraccio,
Mattia