Il bicchiere era leggero. Sarà perché il suo contenuto si era gradualmente trasferito nel corpo di colui che lo reggeva: un uomo sulla cinquantina, che ammirava il panorama dalla finestra della sua stanza. Un uomo come tanti altri, che stava vivendo la sua vita al meglio delle sue possibilità e che ogni giorno era deliziato e contrariato dalle varie sfaccettature dell’esistenza. Sfaccettature che si mescolano, si ridestano e che frequentemente si trasformano le une nelle altre, in una danza senza fine che ricorda l’armonioso unirsi e separarsi dei molteplici opposti.
Una goccia impattò sul vetro, accompagnata dalle sue sorelle. Nel suo moto di caduta la goccia aveva scoperto il cielo; mentre scivolava sul vetro urlava all’uomo la sua nuova conoscenza e le bellezze che aveva visto, ma quello incurante era perso con lo sguardo in un punto fisso ignoto e distante.
Il vento soffiava forte, muovendosi con imponente maestosità. Conteneva sabbia del deserto, lacrime di amor perduti, sudore di chi affronta le proprie sfide; a ben guardarlo, quel vento conteneva il mondo. Era sempre lui, che soffiava da secoli e millenni. Ha visto imperi nascere e cadere, ha fatto esperienza della caducità delle cose. Ha accarezzato il volto di imperatori e schiavi, di ricchi e di poveri; ha accompagnato sorrisi e pianti, trionfi e ingiustizie, carezze e ineguaglianze. Insomma, ha cullato i trionfi e gli abissi di quel curioso essere che da parte del mondo ne vuole spesso diventare padrone.
Entra in scena il protagonista. Un lampo di luce ne annuncia l’arrivo, come a ridestar coloro non pronti a una degna accoglienza. Il tuono, maestoso, ruggisce e si espande nell’aria. Urla, si dimena; più viaggia più si indebolisce, fino a quando stremato diventa l’eco di un punto lontano, il sussurro di un’altra parte del mondo.
Parla una voce da noi non compresa, ma che se ben ascoltata può esser vista come nostra. Un urlo tanto potente, uno yang di decibel che si contrappone ad un successivo yin di armoniosa quiete. Un suono tanto forte che non può far altro che abbracciare il silenzio e fondersi con esso, in un’unione che nel nostro modo di descrivere il mondo non è spesso contemplata.
Tuono e silenzio, yang e yin. Gli opposti che si amano e che nell’amarsi mostrano la loro essenziale unicità, in un continuum così vasto che per essere esperito necessità di denominazioni che ne oscuran l’essenziale.
L’uomo, alla finestra, visse l’abbraccio del mondo, la sua voce e la sua quiete e si sentì parte del tutto.