Se ci fosse una parola che vorrei definisse la mia vita, sarebbe «ignoranza».
Ignoranza non nel senso di assenza di conoscenza, ma piuttosto di costante protesa verso lo scibile; dove il peso dato al noto è inferiore rispetto allo slancio della scoperta.
Come esseri umani abbiamo un meraviglioso sistema neurale che consente l’attribuzione di significato. Prima di poter elaborare significati tutti nostri, per conoscenze trasmesse e per emozioni vissute, ci troviamo in condizione di accogliere dentro di noi significati elaborati da altri.
Tali concetti dirigono le nostre vite, in un modo tanto sottile che, senza una curiosità attiva, non emerge alla soglia della nostra consapevolezza. «Conosci te stesso», dicevano gli antichi. «Insegui i tuoi sogni e vivi la tua leggenda personale», dicono oggi.
Che ne è di queste massime se lo spazio che esploriamo è già limitato, se i sogni che pensiamo di voler inseguire derivano da concetti che non abbiamo contribuito a forgiare?
Mi sembra, sempre maggiormente, che la missione di ciascuno di noi sia innanzitutto liberarsi da quello che pensiamo di sapere. Scrivere un nuovo dizionario, dove le parole assumono i connotati della nostra esperienza.
Questo richiede un grande atteggiamento di osservazione di se stessi. Eppure, è proprio così che possiamo diventare i nostri migliori consiglieri: guardando le emozioni che scorrono i noi, scorgendo i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti, con spirito amorevole e comprensivo. È in questo modo che poi possiamo scegliere di agire senza il vincolo di chi pensiamo di essere, che possiamo definirci nuovamente sulla base della condivisione, dell’empatia e della scoperta.