Ho ultimato ieri la lettura di un libro meraviglioso di Erich Fromm, dal titolo «Psicoanalisi e Buddhismo Zen». È il terzo libro che leggo di questo straordinario autore: i primi due sono stati «L’arte di amare» e «Avere o Essere?». Tra tutti i contenuti di cui parla Fromm, è proprio il ruolo di avere ed essere che mi sta particolarmente a cuore.
Fromm mette in evidenza come, a partire dall’industrializzazione, l’accento si è spostato sempre maggiormente sull’avere, a scapito dell’essere. Questo crea un’alienazione dell’uomo dalle sue stesse attività che, se non vissute con il cuore e con una base spirituale, risultano spesso vuote e insipide.
Nella lettura mi è venuto da pensare al mondo lavorativo odierno. Un mondo sempre più complesso, in cui ci specializziamo in compiti predefiniti che a lungo termine, per molti, rischiano di diventare procedure standardizzate e noiose. Un mondo in rapida evoluzione, in cui quello che funziona oggi potrebbe non funzionare addirittura domani, in cui il cambiamento è l’unica costante. Un mondo in cui tutto quello che si sa è costantemente messo alla prova.
L’uomo brama e fugge il cambiamento. La novità è un toccasana per la vita quotidiana, che altrimenti rischia di cadere nell’identico e nella monotonia. Allo stesso tempo, cambiamenti costanti e un atteggiamento materialistico tendono a non nutrire alcuni desideri che tutti noi abbiamo.
Se cambiamento deve essere, che sia sulla base della reciproca accettazione, comprensione e attenzione. Tutti desideriamo essere ascoltati: siamo ben lieti di progredire, se ci sentiamo amati per dove siamo ora. Siamo anche ben lieti di contribuire alla crescita della nostra comunità, se il nostro lavoro nutre la nostra umanità invece che alienarla.
Abbiamo tutti il diritto di sentire, nel nostro profondo, che siamo abbastanza. Che, con i nostri difetti e le nostre manchevolezze, bastiamo. È proprio su questa base di auto-accettazione che nasce il desiderio di scoprire ulteriormente, per esaltare la nostra umanità e spingerci verso i confini di quello che è possibile.
L’industria, per come è stata pensata e per come ha funzionato fino ad oggi, vedrà dei profondi cambiamenti. Cambiamenti che terranno conto del fatto che, in un mondo finito, non è possibile una crescita economica indefinita. Cambiamenti in cui l’uomo può ritornare ad essere artefice, amando il lavoro che fa e vivendolo come un naturale proseguimento di quello che è e desidera diventare. Cambiamenti in cui ciascuno di noi si sente abbastanza, in cui ciascuno si sente apprezzato per quello che è, per quello che fa e non per quello che ha.
Un abbraccio,
Mattia
Mattia,
È giunta l’ora di leggere, su questo argomento:
I Nuovi Condottieri
Il Nuovo Capitale
di Paolo Ruggeri.
Buon Anno
Michele Rossi
Grazie per il suggerimento Michele, auguri di un fantastico 2020 anche a te :)!