Umberto si alza dal letto, carico di nuove energie. Accarezza il suo gatto, Nuvola, e si dirige verso il bagno per la quotidiana routine: bisogni fisiologici, acqua fresca in volto e rimozione del pigiama. Certo, il corpo scricchiola un po’. Eppure, per fortuna, l’anzianità non comporta l’arteriosclerosi delle emozioni. Anzi: Umberto trova questo periodo della sua vita il più fecondo; può lasciar andare tante preoccupazioni e concentrarsi sul suo mondo interiore.
«Gianni, caffé!», urla il vecchio docente entrando nel bar dell’amico.
«Eccoti, vecchia spugna. Sei in ritardo oggi!».
«Gianni, siamo entrambi chiusi in casa. Non lasciamo che il tempo ci sia tiranno.»
«Va bene, va bene. Riprendiamo quindi il nostro discorso. Posso riassumere io?»
«Prego, volentieri.»
«Ieri abbiamo parlato di essere e avere, e abbiamo affrontato il terzo paradosso: è lasciando andare chi pensiamo di essere che possiamo essere veramente. Hai parlato di quanto sia importante basare la propria vita sull’essere, piuttosto che sull’avere. Hai poi introdotto il concetto di alienazione.»
«Bravo, Gianni, ti vedo attento e sul pezzo.»
«Dunque, cos’è l’alienazione?»
«Oh, è un concetto molto importante. Ricordo di averlo studiato a scuola, affrontando in filosofia la figura di Marx. L’ho poi incontrato nuovamente nella lettura dei capolavori di uno dei miei autori preferiti: Erich Fromm, insigne psicoanalista ed esploratore della natura umana.»
«Mmh, li ho già sentiti entrambi ma non ho mai letto le loro opere.»
«In tal caso, Gianni, ti consiglio la lettura di “Avere o Essere?“, del secondo autore citato. Analizziamo insieme la seguente domanda: cosa succede quando l’uomo, invece che immergersi nell’essere, si abbandona all’avere?»
«Immagino che tenda ad accumulare cose, a valutarsi in base a quanto ha.»
«Esatto, Gianni, ed è bene che stiamo attenti ad un aspetto. L’avere non si riflette solo sulle cose materiali: può estendersi anche ad altri ambiti. Quante volte diciamo di avere una relazione, o di avere un determinato ruolo nella vita di tutti i giorni? Ebbene, può esserci attaccamento anche alle idee e ai concetti. Dunque l’avere, al di là del possedere oggetti materiali, è un paradigma che colora la nostra visione del mondo.»
«Dunque è ben più esteso del possedimento delle singole cose.»
«Si. Quando ci focalizziamo troppo sull’avere, tendiamo a percepire un legame di proprietà con le cose che sentiamo nostre. In questo modo, ci allontaniamo da una delle più grandi verità: l’impermanenza e il continuo mutare del tutto. Inoltre, Gianni, c’è un altro rischio: l’avere può smorzare la vitalità.»
«Cosa intendi?»
«Caro amico, abbiamo visto che la gioia deriva da semplici aspetti. Apertura verso il mondo emotivo, senso di vicinanza nelle relazioni e soddisfazione dei bisogni materiali primari. Inoltre, la gioia deriva dal sentirsi tutt’uno con le azioni presenti; emerge dal sentirsi immersi nella propria facoltà creatrice. Che sia cucinare, correre, lavorare, respirare, o un generico atto quotidiano: la gioia deriva dal fondersi con queste attività, vedendo il risultato come conseguenza e non come scopo.»
«Fammi capire bene: come interagiscono avere ed essere nelle nostre azioni quotidiane?»
«Forse con un esempio è più chiaro. Immagina di arrivare a casa la sera, stanco dopo la giornata lavorativa. Cucini qualcosa da mangiare. Ecco, tale atto può essere vissuto in due modi. In un primo scenario, puoi cucinare con un focus sul risultato: vuoi qualcosa da ingerire per colmare il tuo senso di fame. In tal caso, cucineresti probabilmente in tutta fretta e mangeresti il risultato in modo veloce, pensando che non vedi l’ora di sdraiarti sul divano a guardare la TV.»
«Umberto, ti confesso che mi capita spesso.»
«Anche a me, Gianni. Ricorda: la gioia è il lavoro di una vita. Riprendiamo l’esempio del cibo. Nel secondo caso, puoi cucinare con un focus sul processo. In questo caso, tu e gli ingredienti diventate un tutt’uno. Ti fai inebriare dal loro profumo, dai nuovi sapori che creano combinandosi, e senti il risultato come un prolungamento del tuo essere. Ecco che il cucinare si è trasformato in un atto creativo.»
«Interessante, Umberto. E come tutto questo è collegato all’alienazione?»
«L’alienazione tende ad emergere quando il nostro focus è sul risultato, piuttosto che sul processo. In altri termini, appare quando siamo focalizzati sull’avere piuttosto che sull’essere. Domani vedremo degli esempi di questo concetto applicati al mondo lavorativo.»
Umberto si alza e prende il suo bastone. Gianni guarda il muro, pensieroso. Dall’altra parte del mondo, un bambino muore di fame, perché alcuni hanno voluto avere troppo e ad altri è rimasto troppo poco.
Un pensiero riguardo “Buio e Luce – l’alienazione”