Buio e Luce – Il giudizio degli altri

«Umberto, sono curioso di sapere che faccia hanno fatto i tuoi studenti quando sei andato a fare lezione in mutande.»

«Beh, immagino che fossero stupiti. Parecchi di loro ridacchiavano e molti hanno fatto una faccia indignata.»

«E cos’hai pensato di fronte a quelle reazioni? Scusami per la franchezza: non ti sei vergognato?»

«Gianni, la vergogna è una reazione appresa e intrecciata nel tessuto sociale in cui siamo cresciuti. Penso che i bambini non abbiano timore di andare in giro nudi o mostrare le loro parti intime. Quindi, no: non mi sono vergognato.»

«Sì, quello è vero. Eppure, è prassi comune non andare a fare lezione in mutande in età adulta!»

«E da quando in qua la prassi comune può definire quello che è giusto o quello che è sbagliato? Immagina di andare in piscina o al mare: in tale contesto trovi molte persone in costume. Il tessuto è diverso, i colori più variopinti; la sostanza, però è la stessa. Cosa sono quegli elementi che ci fanno vergognare a vedere una persona in mutande, e non vergognare quando la stessa persona è in costume? E, ancor più importante, perché ci vergogniamo per persone in mutande e non per le guerre che combattiamo quotidianamente sotto la luce del Sole?»

«Umberto, non so cosa risponderti.»

«Caro amico, il discorso che stiamo facendo è ben più ampio di norme sociali. Come abbiamo visto, il modello attuale della società è spesso competitivo piuttosto che collaborativo. In queste tendenza, fiorisce il giudizio verso se stessi e verso le altre persone, perché è il confronto con gli altri che eleva o sminuisce il singolo. Sogno una società in cui ognuno, in un dato momento, viene rispettato per quello che è ed incoraggiato a diventare chi può essere

«Dunque, secondo te, qual è il giusto atteggiamento verso il giudizio degli altri?»

«Dalla mia limitata esperienza, penso che gli ingredienti siano sempre quelli: apertura, ascolto, curiosità di imparare. Nelle parole altrui possono celarsi dei grandi insegnamenti. Allo stesso tempo, penso sia anche molto importante imparare a riconoscere cosa carpire e cosa invece attribuire all’ignoranza altrui.»

«Cosa intendi con ignoranza altrui?»

«Ti faccio un esempio. Immagina di vedere una persona molto timida, che tende ad auto-sabotare i propri impegni. Oppure, immagina di interagire con una persona molto decisa, che tende ad essere molto dominante nelle relazioni con gli altri. Ebbene, nella tua mente potrebbero emergere delle domande e dei giudizi. Perché la prima persona continua a mettersi i bastoni tra le ruote? Perché la seconda persona tende a comportarsi in modo così superbo e caparbio?»

«Certo, possono sicuramente emergere.»

«Tipicamente, tendiamo a dare risposta a tali domande partendo dalla nostra esperienza. In fondo, la nostra esperienza è tutto quello che abbiamo: tendiamo dunque ad utilizzarla anche per comprendere le esperienze altrui. Eppure, l’atteggiamento più benefico è riconoscere la nostra ignoranza. Non abbiamo vissuto la vita dell’altra persona, non abbiamo vissuto i suoi trionfi e le sue tragedie. Inoltre, probabilmente, dietro i loro atteggiamenti vi è un’intenzione positiva, che tende a soddisfare dei bisogni umani basilari.»

«Umberto, stai dicendo che i nostri giudizi sono basati sull’ignoranza, e quindi è bene scacciarli?»

«Oh, no. Non scacciarli. Direi piuttosto accoglierli e ri-contestualizzarli. Possiamo farci altre domande che ci consentano di ampliare la nostra prospettiva, e riconoscere così la nostra mancata conoscenza. In questo modo, il giudizio tende ad attenuarsi da sé.»

«Caro amico, questa mi sembra una buona prassi quando tendiamo a giudicare gli altri. Allo stesso tempo, vorrei parlare ancora di quando siamo noi, a sentirci giudicati.»

«Penso che la questione sia solo ribaltare la prospettiva. Noi possiamo valutare se esternare o meno i nostri giudizi, ed allenarci gradualmente alla comprensione e compassione. Non possiamo però forzare gli altri a fare lo stesso: è il loro percorso. Quello che possiamo fare, però, è sviluppare un atteggiamento produttivo di fronte a potenziali giudizi altrui.»

«Quale può essere, quindi, un atteggiamento produttivo?»

«Lo stesso di cui ho parlato prima: accogliere ciò che può farci crescere e, allo stesso tempo, riconoscere che l’altra persona non ha vissuto la nostra vita. Non conosce le nostre sfide, non ha vissuto le nostre difficoltà: possiamo imparare a lasciar andare quelle parole che non sono compassionevoli.»

«Interessante, questa prospettiva sul giudizio!»

«Gianni, questo è solo un lato della medaglia: domani parleremo del giudizio verso noi stessi.»

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